L'università in italia, in questo periodo, fa sì che si laureino anche i peggiori idioti. Questo perché anche lì c'è la politika, che impone di far numero: pochi laureati, pochi iscritti, pochi soldi. Tanti laureati, tanti iscritti, tanti soldi.
Io per laurearmi mi son fatto un culo come una capanna, perché ho studiato lavorando (sottopagato), ma lavorando nel settore in cui studiavo: mi facevo anche settimane o mesi interi in cantiere, e giornate intere in studio, per racimolare quattro soldi ma soprattutto per capire e toccar con mano la materia di studio concretizzata. Nei miei panni ce n'erano pochi, dei miei compagni di studio: la maggior parte preferiva stare in università a cazzeggiare tutto il giorno, studiacchiando nei ritagli di tempo, facendo comunella e leccando il culo ai professori... e dei pochi che lavoravano, la maggior parte faceva lavori che oggi sono definiti "da universitario": cassiere al supermercato, cameriere, pizzaiolo... arte sprecata. Agli esami poi passano quasi tutti: i leccaculo quasi sempre, perché impostano lo studio concentrandosi su quello che il tale professore chiede, mentre io e pochi altri invece facevamo più fatica, passavamo con voti parecchio altalenanti (nel mio libretto c'era la gamma dei voti completa dal 18 al 30 e lode, tranne 29 che non l'ho mai preso), perché decidevamo di studiare sia gli appunti che sul libro, focalizzando l'attenzione su quel che potrebbe servire un domani, ma ovviamente per studiare così è necessario molto più tempo, e spesso si finisce col perdere qualche dettaglio sul quale a volte si basano le domande "classiche" di un tale professore, che risultano difficili da prevedere quando si è latitato nel leccaculismo.
Benissimo, e chi se ne frega? Alla fine il pezzo di carta è il medesimo, no? A mio avviso non è proprio così.
La differenza sostanziale emerge al momento del colloquio con l'impresa: chi studia per laurearsi, il più delle volte non conosce neanche marginalmente le necessità aziendali, e si presenta con quell'atteggiamento che aveva durante la carriera accademica (pensa alla retribuzione, allo svacco e va a cercare il pelo nell'uovo senza vedere il trave che ha sotto il naso); chi invece ha studiato per imparare qualcosa, durante un colloquio troverà il punto di contatto per proseguire quel che ha fatto fino a quel momento, cominciando a concretizzare: se scatta il feeling, il gioco è fatto.
Con questo non voglio generalizzare, in quanto sono fermamente convinto che dagli atenei italiani non esce solo merda, anzi, gli elementi validi ci sono e spero continueranno ad esserci, solo che -visto il sistema di funzionamento degli atenei- la merda è in maggioranza: conosco parecchi coetanei, laureati anche presso prestigiosi e rinomati atenei, che professionalmente non valgono nulla... figli di papà, ricoperti d'oro, che hanno fatto l'università perché "tanto è svacco", che passavano gli esami copiando, o col CEPU... ovviamente ai colloqui vengono rimbalzati: non me ne accorgo solo io della loro condizione.
Io invece ho frequentato dei corsi extra, che non davano accredito di "punteggio" o "crediti", per cui ovviamente erano praticamente deserti... però quei corsi, estremamente tecnici e pratici, hanno fatto sì che il mio nome finisse sotto agli occhi giusti... per mia fortuna, poi tutto è evoluto nel verso migliore... sono stato convocato per un colloquio, nel quale non c'erano chances per chi era abituato a copiare e a cazzeggiare... che poi si è raddoppiato, diventando non un esame, ma una doppia chiacchierata tecnica di qualche ora con quelli che ora sono i miei attuali dirigenti, perché è scoccata la scintilla...
1 Lezione di vita per tutti!